E' TEMPO DI RIVEDERE LA COSTITUZIONE ITALIANA. ANDARE OLTRE L'ARATRO, LA STELLA E L'ACQUA SANTA.

OGGI IN ITALIA CI SONO GIOVANI GOVERNATI DA VECCHI. 
VECCHI CHE HANNO RUBATO LE RISORSE AI GIOVANI PER FAR INVECCHIARE LORO ANZITEMPO E RIMANERE GIOVANI ESSI STESSI, NONOSTANTE LA CONDANNA ANAGRAFICA CHE INCOMBE SU DI LORO.


Il nostro bel paese ha bisogno di una completa opera di revisione ed ammodernamento.
Non è antico – come meriterebbe di essere, viste e considerate le sue origini millenaristiche, i suoi fasti e le sue tradizioni che hanno ispirato e lasciato tracce su milioni di pagine, negli ultimi 2000 anni – di contro, è un paese soltanto vecchio e la sua vetustà ha una data ben precisa: il 22 dicembre 1947, data di approvazione della Costituzione Italiana.
La nostra Costituzione è articolata in una struttura complessiva, generalmente condivisibile, in cui trovano espressione principi, idee, sentimenti, assolutamente accettabili ed universalistici. Tuttavia, vi è una parte cospicua della Carta Costituzionale, concernente quel segmento che disegna la struttura dello Stato, dell’organizzazione istituzionale che è assolutamente da rivedere, in quanto non più attuale e non più adatta, aderente a rappresentare e regolare le necessità di una società che negli ultimi 70 anni è radicalmente mutata. Mutazioni e cambiamenti che continuano a realizzarsi anche nella stringente attualità, con una velocità che rende la politica, per come è congegnata ed organizzata, totalmente incapace ed impossibilitata a reggere il confronto con la necessità inderogabile di assumere scelte e decisioni veloci, non condizionate dalla demagogia elettorale cui sottostanno tutti i partiti politici.
I cambiamenti iperveloci, ed i rimodellamenti continui, cui la società, mondializzata, va incontro, impongono una reattività degli asset politici scevra da condizionamenti esterni che non siano in qualche modo riconducibili al bene del cittadino e della comunità.
L’Italia è oggi un paese che per come è congegnato e regolato – dall’attuale Carta Costituzionale – risulta essere un paese vecchio, fatto da vecchi e governato sempre da vecchi.
Il risultato di questa vetustà globale, è un paradigma inamovibile: stasi, vecchiume istituzionale, mancanza di sprint, di dinamiche, di un modo aperto di vedere le cose, di semplificarle, di ispirarsi all’azione e non alla stagnazione ideale, propositiva e istituzionale. Un paese in cui sono propri i vecchi che stanno al potere che non vogliono mollare ed mandare in pensione.
Sono proprio loro – addirittura molti dei quali promotori della Carta Costituzionale -  che ancora oggi condizionano e rallentano i processi di cambiamento necessari per modernizzarlo. Qualche “giovane” che arriva a fare politica a livelli “alti”, invece di tentare d’imporre la logica del cambiamento, dell’innovazione, al contrario,  si converte, immediatamente, alla filosofia del vecchiume istituzionale perché capisce che l’unica dialettica che paga, l’unico paradigma che garantisce il risultato personale (quello di rimanere attaccato alla poltrona fino alla vecchiaia) è quello della stagnazione e del mantenimento perpetuo dello status quo.
C’è un filo diretto, invisibile, ma resistentissimo che collega i giorni nostri e la radice politica che vi alberga, a quel 1948, in cui comunisti e democristiani, in prima linea, si spartirono il potere e cominciarono a tessere la trama della politica della stella, dell’aratro e dell’acqua santa. Una politica consociativa che portò democristiani e comunisti a litigare, ma a trovare l’accordo, per lo stemma della Repubblica, in cui compaiono la stella – che somiglia molto alla stella comunista russa – la ruota dentata simbolo del lavoro, l’ulivo e la quercia.
Il diavolo e l’acqua santa. Il cielo e la terra.
Fecero finta di non mettere emblemi di partito, nello stemma della Repubblica, ma, in realtà, criptati, ma neanche tanto, i riferimenti ontologici, la simbologia traslata, dei partiti consociati, sin d’allora, c’erano tutti.
Democristiani e comunisti hanno governato l’Italia – in forme diverse – per 50 anni ed i loro apologeti per altri 20. Ora siamo al capolinea. Vittime permanenti del vecchiume, delle loro politiche asfittiche, delle loro trame consociative, delle architetture bizzarre tracciate da politiche in “ossequio” alle quali abbiamo creato migliaia di leggi, corredate del grimaldello per aggirarle, di politiche territoriali orientate a rovinare indelebilmente il territorio dei nostri Comuni, di politiche nazionali costruite ad hoc per far arricchire la grande industria e i politici che vi dialogavano ed intrecciavano gli interessi, di intrecci tra poteri di varia natura, con il quale consolidare il controllo permanente della politica e dei relativi assetti di potere. Ciò è quello che accadeva ieri. Ma è anche quello che con piccoli aggiustamenti, accade oggi. Non è cambiato nulla, o poco.
Un Presidente della Repubblica che ha quasi novant’anni, un Presidente del Consiglio che ne ha quasi settanta, sono l’emblema di un paese irrimediabilmente vecchio, basato e cresciuto su fondamenti vecchi ed oggi consunti ed insufficienti a garantire all’Italia un futuro dignitoso ed accettabile.
Oggi in Italia ci sono giovani governati da vecchi.
Vecchi che hanno rubato le risorse ai giovani per far invecchiare loro anzitempo e rimanere giovani essi stessi, nonostante la condanna anagrafica che incombe su di loro.
Bisogna rivedere la nostra Costituzione, attualizzarla. Renderla compatibile con una nazione fatta di 60 milioni di  italiani e non so quanti altri non italiani. Fatta di milioni di persone che sanno leggere, scrivere e far di conto e forse anche qualcosina in più. Un panorama decisamente diverso da quello di 65 anni fa.
E poi occorre risanare una cicatrice che ancora oggi non può essere ignorata, riguardante il fatto che la Costituzione di allora tenne fuori una bella parte di cittadini italiani, dalla rappresentanza ideale che essa voleva testimoniare. L’Italia oggi è altra cosa. È ora di aprire una nuova pagina verso la modernità, ricordandoci di essere i pronipoti di quell’incredibile forza della natura e dell’intelligenza creativa che fu la civiltà romanica
Massimo Scorretti

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