TERZOPOLISMO: METODO RAPIDO DI CONQUISTA DEL POTERE CON POCO CONSENSO

Nessuno puo’ negare che la primogenitura del terzopolismo, in epoca post tangentopoli, spetta di diritto al democristiano Casini, gran meaestro di inciuciologia politica e teorico di lungo corso dell’assiomatica asserzione ”tanto potere con poco consenso”.  
Dopo il fragoroso crollo della DC, all’inizio degli anni ’90, sotto i fendenti di Di Pietro e Soci, tra la polvere e le macerie si materializzo’ PF Casini, poi spunto’ Buttiglione e a questi si aggregarono tutte le seconde linee DC, gia’ operanti nelle segreterie politiche delle prime linee, durante la prima Repubblica. Si capi’ subito, alle elezioni del 1994 che il periodo dei grandi fasti democristiani era finito e che dalle ceneri dell’araba fenice sarebbe rinato ben poco. Lontani erano i traguardi elettorali a due cifre di percentuale. Casini inizio’ a farsene una ragione e capì ben presto che con la morte certificata della DC, sarebbe stato condannato, vita natural durante, solo alla sua permanente commemorazione.  
Comprese che se voleva seguire la tentazione di far risorgere la balena bianca, avrebbe dovuto combattere una battaglia di retroguardia, fondata sull’esiguita’ del consenso centrista, rappresentato dai residui oltranzisti, naif e crepuscolari che con tanto di fazzoletto in mano piangevano e si disperavano, invocando la miracolistica resurrezione del cetaceo defunto. I nostalgici della DC non erano pochi, ma non erano tanti da superare il 5-6%. Troppo pochi per dettare condizioni a chicchessia, ma troppi per non esser utili a qualcuno. Men che meno a Berlusconi che si era pappato tutto l’elettorato moderato della DC e quei pochi che il Cavaliere non aveva convinto si erano incamminati verso AN, la nuova casa costruita da Fini, in cui c’era spazio anche per l’ala cattolica nazionale piu’ conservatrice. A Casini restarono i nostalgici che poi altro non erano che le folte schiere delle seconde e terze linee militanti della DC prima del collasso. A Casini non restava che orchestrare la sua nuova sinfonia centrista con il poco materiale che aveva. Una sorta di pena del contrappasso, fatta espiare da “qualcuno” che di giustizia se ne intende davvero, per bilanciare tutte le cose poco nobili fatte dagli uomini della DC, ai tempi in cui il potere scorreva nelle loro mani, in maniera talmente imponente, tanto da far proferire a qualcuno di loro l’incontestabile epigramma: “il potere logora chi non ce l’ha”. 
Il povero Pier lo sapeva che erano in arrivo tempi duri, ma non si daette per vinto, sapeva che d’allora in poi avrebbe dovuto fare alleanze, ma ancor di più sapeva che le alleanze andavano fatte con il piu’ forte, cioe’ con il vincente. Solo cosi si potra’ tornare nelle stanze dei bottoni e del potere. Chi viene dalla DC ha un solo commitment, una sola mission: il potere a tutti i costi. Intanto nel 1995 si inizia a parlare quella nuova lingua negli ambiti della politica politicante. Basta con il proporzionale, basta con le coalizioni tra partiti e partitini con quest’ultimi che poi fanno l’ago della bilancia e determinano un giorno si e l’altro pure, le crisi di governo per mancanza della maggioranza in parlamento. Occorre eliminare la piaga dei partitini e costringere questi a coalizzarsi in assetti bipolari. Pier con la sua barchetta naviga in mezzo ai marosi della politica, alleandosi con quello che appariva il piu’ forte del momento e cioe’ il Cavalier Berlusconi da Arcore. Cambia due, tre volte nome al partito, perde qualche pezzo qua e la, ma in quanto a percentuali riesce sempre ad annaspare attorno al 5-6%. A Pier non piace il maggioritario ed il bipolarismo, Pier ha il suo progetto: far rivivere la balena bianca e non demorde. Lui lo fa non per analisi politica, non per scelta ideologica, non per fedelta’ eterna al bianco fiore e a quegl’insegnamenti, a lui trasmessi da uomini di grande potere. Lui lo fa solo perche’ e’ l’unica strada per governare la situazione quando hai poco consenso. Se hai poco consenso, devi metterti al centro per spaccare gli estremi e fare l’ago della bilancia. Oggi con un polo e domani con l’altro. Dipende da chi offre di piu’, dipende da quanto potere si raccoglie volta per volta, situazione per situazione. Pier in questo e’ un fenomeno. Imbattibile. Pur con percentuali da interesse bancario, riesce a conquistare ministeri, sottosegretariati, assessorati, poltrone da Sindaco, in ogni dove per l’Italia. Lui non ci perde mai. Fa gli accordi prima con i candidati che per paura di perdere, a causa della defezione dell’UDC, promettono agli stessi mari e monti. Dopo la vittoria, sono costretti a mantenere le promesse, cedendo, in maniera sproporzionata, posti di potere agli uomini dell’UDC che a quel punto possono fare il buono e cattivo tempo all’interno delle strutture governate. E poi guai a contraddirli: minacciano subito di mandare tutto all’aria, se non gli dai quello che chiedono. Sono come il vaiolo: letali. Pier si fa fregare solo nel 1996 quando schierato con Berlusconi, perde contro Prodi e deve, obtorto collo, fare la minoranza. Ma Prodi dura poco, viene silurato a meta’ strada del suo mandato e poi, da li al 2001, anno in cui Berlusconi va al potere, passa poco. Dal 2001 Pier e’ in maggioranza e con il suo 5% va a fare il Presidente della Camera. Si smarca dalle incombenze piu’ pericolose (ministeri) ed inizia a costruirsi un bel profilo istituzionale, gli sara’ utile piu’ tardi quando tentera’ la scalata al sommo vertice, al posto di Berlusconi.  Ma si sa che in politica e’ difficile fare programmi a lunga scadenza. Il suo troppo molestare Berlusconi, tramite i suoi sergentini, Follini e Tabacci, irrita non poco il cavaliere che si lega al dito il comportamento di Casini e dell’UDC. Nel 2006 c’è il mini incidente di percorso di Prodi e della sua inesistente maggioranza per governare. Berlusconi ritorna al potere, nel 2008, questa volta con 100 seggi parlamentari in piu’ rispetto alla minoranza. In minoranza questa volta c’e’ finito anche Pier e l’UDC. Il cavaliere si e’ ricordato dei tanti mal di pancia sofferti nel 2001-2006, a causa dei capricci degli uomini di Casini ed e’ deciso a fargliela pagare, tentando l’annichilazione dell’UDC, previo riassorbimento. Impone a lui, come a Fini, di fare il super partito in cui il cavliere sara’ incoronato imperatore. Fini accetta, Casini no. Pier capisce subito che se perde il controllo anche di un mini partito, come il suo, perde la speranza di vedere un futuro politico a certi livelli e anche se capisce che il potere si allontana, piagnucolando, va all’opposizione. Fini invece abbocca all’amo del Cavaliere, ingoiando anche l’esca, scioglie il suo partito (mentre i suoi colonnelli gia’ gozzovigliano al tavolo di Berlusconi, mollando il vecchio capo dittatore), ritrovandosi praticamente quasi solo, a dirigere l’orchestrina della camera, come un diligente scolaretto. Fini pero’ dall’alto del suo scranno ha una posizione privilegiata per osservare tutti i deputati e scrutare i loro comportamenti, le loro mosse, i loro bisbiglii, le loro interlocuzioni con gli “amici” che oggi preferiscono. Da quella posizione e dal lungo rimuginare, nonche’ da tutte le castronerie compiute dal Cavaliere, un giorno si e l’altro pure, capisce che i tempi dell’avventura berlusconiana sono finiti.  Fini capisce che e’ finita un’era nella politica italiana e che se vuole ancora esserci in veste da protagonista dovrà muovere le terga ed assumere decisioni anche dolorose. E ciò dovrà farlo anche in fretta.
Inizia a delinearsi con piu’ vigore il terzopolismo ed inizia la guerra di Pier al bipolarismo. Pier e’ ondivago, si avvicina e si allontana dal PD, reo di essere troppo vicino ed alleato del nemicissimo Di Pietro. Non si parla altro che di terzo polo e Pier inizia a mettere in pratica la sua sciagurata teoria, in cui compie alleanze, alle elezioni amministrative (Regioni, Provincie, Comuni), ora con la destra, ora con la sinistra, a seconda del fatto che la cosa generi un risultato vincente e la conquista del potere. Piano piano riesce a conquistare l’attenzione del sua amico rivale di sempre che oggi e’ al potere: Gianfranco Fini, anche lui ed i suoi, ormai relegati a figura di mera rappresentanza nell’ambito della maggioranza. Fini si stacca, Berlusconi vacilla ed eccoci arrivati all’attualita’. I due delfini berlusconiani si riuniscono, in antitesi all’uomo che li ha fatti sognare e volare in situazioni che mai avrebbero immaginato. Loro sono ancora “giovani”, di “belle speranze” e pieni di aspettative. Il cavaliere, di contro, appare nella branca discendente della sua parabola politica, ma e’ ancora fortissimo. Troppo per le ambizioni e le aspettative dei due. Solo il terzopolismo li puo’ salvare. Ma il vero intenditore di questa disciplina che riesce a trasformare il bronzo o il ferro in oro, è Pier. La disciplina che ti da potere con il minimo consenso. 
L’unica disciplina che Pier si puo’ permettere, per sperare di ritornare agli antichi fasti. Fini non può che emularlo, nella speranza che alla fine se la giochino a “pari o dispari”.
MASSIMO SCORRETTI

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